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UN SOGNO LUNGO UN GIORNO
(ONE FROM THE HEART)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 giugno 1983
 
di Francis Ford Coppola, con Frederic Forrest, Teri Garr, Raul Julia, Nastassja Kinski, Lainie Kazan, Harry Dean Stanton (Stati Uniti, 1982)
 
"Un film come Apocalypse now lascia il segno.

Non fosse che fisicamente: dopo tre anni nella giungla, dopo le tribolazioni materiali, psicologiche, economiche che l'immenso film sulla guerra del Vietnam deve aver provocato al suo autore, non c'è da meravigliarsi se Coppola si è rifugiato al polo opposto. Nella clausura di uno studio, vicino alla luce del neon e lontano da quella del sole, lontano dalla realtà del dramma pid angoscioso che il suo paese abbia vissuto negli ultimi anni, e vicino alla banalità di una storiella sentimentale, kitsch e qualunque. Ma, al tempo stesso, One from the heart non si situa agli antipodi di Apocalypse now: se in sè quello faceva dello spettacolo con la realtà più tremenda che gli uomini si siano inventati, qui si fa di quello spettacolo, di quel gioco, la sola realtà degna di essere filmata.

One from the heart vuol dirci la stessa cosa di Apocalypse now: che l'America, quella del Vietnam come quella di Las Vegas non è altro che un grande, affascinante e tragico spettacolo. Il cinema di Coppola nasce dal desiderio di decifrare la rappresentazione di questo spettacolo. Nessuno nel cinema americano di oggi possiede come Coppola la curiosità, il contatto con l'evoluzione tecnologica. L'ho visto un paio d'anni fa a Cannes, all'uscita di una conferenza stampa, staccarsi dalla massa dei giornalisti che lo circondava per andare ad osservare la cinepresa superotto d'avanguardia che teneva fra le mani il sottoscritto... One fron the heart nasce da questa curiosità, da questo piacere per il rischio e la sperimentazione: girato con le tecniche elettroniche più avanzate con il computer al posto della tavola di montaggio, e la scelta deile focali o delle tonalità desunta dalle tavole elaborate sulle possibilità comparate, il film offre un materiale di studio che verrà forse consultato dai cineasti del futuro. Specialmente nell'eventualità, sostenuta da Coppola, che si finirà col fare del cinema sempre più elettronico, e sempre meno col supporto argentato

Bastano poche immagini del film, la straordinaria carrellata iniziale sulle insegne al neon, le sovrimpressioni elettroniche, i movimenti di macchina virtuosisticamente riferiti a quelli di Welles, il carosello dei colori e dei suoni per convincersi di quello che già sapevamo: che Coppola, come qualcuno lo ha definito ai tempi di Apocalypse è l'ingegnere più brillante che il cinema possegga. La fotografia di Storaro è strabiliante, e cosl la scenografia, di Tavoularis. Su questi due pilastri si costruisce la vera ragione d'essere del film, la continua, ininterrotta ricerca espressiva che si sovrappone, fagocitandolo, all'esile aneddoto che conduce il film: una coppia in crisi si separa, vive due awenture sentimentali effimere, e si riunisce.

Il film di Coppola è brillantissimo, su questo non ci sono sicuramente dei dubbi. E questo sforzo continuo di ricerca spaziale, ritmica, coloristica forza la nostra ammirazione. Ma, al tempo stesso, questa preoccupazione costante, questa volontà di ricavare da ogni situazione il massimo sfruttamento dell'elemento ambiente, finisce con lo sfociare in una scorpacciata espressiva fine a se stessa. Lo ha detto il regista stesso: "l'identificazione con i personaggi è il principio di base usato nel cinema e la fonte di ogni emozione, io cerco qualcosa d'altro". E ancora: "avendo realizzato Il padrino e La conversazione credo di sapere cosa significa fare del naturalismo, e permettere agli spettatori di identificarsi ai personaggi. Ma qui, le tecniche elettroniche, l'aspetto artificiale della storia mi sembravano adatte ad una ricerca ulteriore.

One from the heart diventa cosl un campo di sperimentazione strabiliante: ma i personaggi, per non parlare della storia, non hanno alcuno spessore psicologico.

Ammiriamo gli effetti tecnici: ma di quello che succede non ce ne importa un bel niente. La regìa, con tutto ciò che sottintende di sforzo espressivo (e Dio sa se qui lo sforzo c'è e si sente) è tesa a sottolineare le atmosfere. Ma francamente, non ho trovato divertenti le situazioni umoristiche, non commoventi quelle sentimentali, non poetiche quelle che, disperatamente, si volevano poetiche. Solo filmando il personaggio "anomalo" di Nastassia Kinski il film ha qualche sussulto di verità. Per il resto riesce a restituirci una splendida cornice (la luce della città, come raramente il cinema era stato capace di ridarci) ma non una dimensione significante.

In Apocalypse now era filmando la follia del quotidiano che Coppola riusciva ad esprimere tutta la degenerazione di una condizione straordinaria come quella della guerra. In One from the heart si vorrebbe seguire la strada inversa: filmare una situazione ordinaria per esprimere il magico del quotidiano. Ma la sola magia che emana dal film è quella tecnologica: questa volta lo sperimentatore ha avuto il sopravvento sul poeta."


   Il film in Internet (Google)

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